Casa Ohana: un seme per l’integrazione

Gli anni bui del salvinismo di governo a Casa Ohana se li ricordano bene, quando i “decreti sicurezza” dell’allora ministro dell’Interno sembrarono sul punto di fare saltare l’intero sistema italiano dell’accoglienza ai migranti.

E in effetti in molti casi a fare danni ci riuscirono. Era il 2018, politicamente un’altra era, eppure gli effetti di quei provvedimenti si sentono ancora. Proprio da lì, dalla notizia che cinque ragazzi neo maggiorenni titolari di protezione umanitaria sarebbero stati espulsi dal sistema dell’accoglienza torinese, nacque prima il sogno, poi il progetto concretissimo di “Casa Ohana”.

Siamo in provincia di Torino, è il novembre 2018 e un funzionario del Ministero degli Interni chiama i responsabili della cooperativa sociale Biosfera. “Ci disse che cinque ragazzi arrivati in Italia da minorenni non accompagnati e ospitati in una struttura Fami (il Fondo asilo migrazione e integrazione 2014-2020, ndr) sarebbero stati messi presto in strada. Abbiamo faticato a credere che tutto questo stesse succedendo veramente, che quello che certi politici dicevano in tv stava prendendo forma nella nostra realtà. In quel momento per noi si creò un conflitto fra l’obbedienza alla Legge e il mantenimento dei nostri princìpi e dei nostri valori”, ricorda Manuela Girola, 50 anni, una vita come professionista dell’accoglienza.

Quello che succede però è che, invece di mollare il colpo, Manuela e tre suoi colleghi della cooperativa Biosfera decidono di rilanciare. Per i cinque ragazzi creano un progetto di accoglienza da finanziare dal basso, senza nessun aiuto pubblico. Casa Ohana, appunto, “dove Ohana significa famiglia, significa che nessuno rimane indietro o viene abbandonato”. 

Da lì parte una raccolta fondi che coinvolgerà centinaia di persone, che si diffonderà attraverso i canali del mondo cattolico locale ma non solo, e che prenderà slancio anche grazie alla rete delle Famiglie Accoglienti del Piemonte.

Il risultato è stato un progetto completamente autofinanziato, tuttora attivo, e che ha annullato almeno per i 5 ragazzi gli effetti dei provvedimenti decisi al tempo da Salvini, permettendo loro di continuare il proprio percorso verso l’autonomia abitativa e lavorativa. 

Eccola qui la differenza tra la marginalità, e magari la strada e la criminalità, e una piena integrazione. La differenza l’ha fatta Casa Ohana, che ai cinque ha trovato una casa vera, in Valsusa e recentemente di nuovo a Torino città. E ovviamente la differenza l’hanno fatta tutti coloro che hanno sostenuto il progetto: due associazioni, 80 famiglie e tanti eventi organizzati per raccogliere donazioni e contributi. Ci sono stati gli anniversari di matrimonio, le messe, anche un riuscitissimo concerto andato oltre ogni aspettativa.

“Come cooperativa abbiamo pensato per iniziare di affittare un appartamento in cui trasferire i cinque ragazzi innanzitutto perché avessero un’alternativa alla strada, dal momento che non avevano più diritto ad essere accolti in progetti finanziati dal pubblico, ma anche perché potessero continuare il loro percorso di inserimento e integrazione sociale che, essendo appena iniziato, rischiava di vanificarsi e costringere queste persone a strategie di sopravvivenza al limite della devianza”.

Dal 2018 ad oggi Casa Ohana è stata davvero una famiglia per Stephen, Kassim, Ebrima, Mohamed, e Bassirou. 

Tutti classe 2000, giovanissimi con esperienze dolorose alle spalle, costretti a lasciare il proprio paese in Africa – Nigeria, Costa d’Avorio, Niger, Gambia – perché perseguitati, in condizioni di povertà estrema o comunque in gravissimo pericolo. 

Grazie a Casa Ohana e alla grande rete che ha sostenuto il progetto, hanno potuto ricostruirsi una vita e trovare una loro strada: chi ha raggiunto la completa autonomia, chi sta ancora lavorando per raggiungere l’obiettivo. A loro cinque si è aggiunto anche Elias Karim, che sta frequentando l’ultimo anno dell’Its di Meccatronica di Torino.

“Casa Ohana si è sostenuta e si sostiene con l’aiuto di tutti. Come professionisti dell’accoglienza da subito abbiamo messo in chiaro che non avremmo voluto essere pagati per le nostre attività professionali. Il nostro contributo per il progetto sarebbe stato interamente volontaristico, così come non avremmo caricato alla voce spese i costi degli spostamenti e della benzina”, racconta Manuela Girola.

Ma tutti i soldi raccolti non sarebbero probabilmente bastati, perché le esigenze dell’accoglienza sono tante. Banalmente anche solo quelle di arredare gli appartamenti trovati per i ragazzi. La soluzione?

“Le Famiglie Accoglienti ci hanno aiutato molto. Assieme alla rete dei Gesuiti di Torino sono state la nostra prima fonte di diffusione del progetto, che ha potuto così raggiungere capillarmente moltissime persone. La rete delle Famiglie Accoglienti di Torino poi è diventata per noi una risorsa preziosissima per lo scambio di beni e servizi necessari all’accoglienza. Serve una bici per uno dei ragazzi? Lo scriviamo nel gruppo, e una soluzione la si trova. Tra l’altro alcune di queste famiglie sono diventate anche finanziatrici di Casa Ohana”.

Cos’è stato e cos’è Casa Ohana per chi ha prestato e presta la sua opera di volontariato nel progetto? “Un modo per dare un senso profondo al mio lavoro e alla mia esistenza, ma c’è di più – spiega Manuela – Quando i miei figli e miei nipoti guardando indietro mi chiederanno ‘tu cosa hai fatto quando in Italia tutti sembrano contro i migranti e l’accoglienza?’, io racconterò loro di Casa Ohana. Questo progetto è stata una risposta politica, a partire dalle risorse che avevamo in quel momento, a quello che stava succedendo”.

Una risposta concreta, concretissima. Stephen, accolto nel 2018 in Casa Ohana, oggi vive per conto suo e ha un lavoro stabile. Kassim sta terminando l’apprendistato in un’azienda meccanica della provincia di Torino. Ebirm è assunto con un regolare contratto, Mohamed ha una borsa lavoro, Bassirou ha avuto un brutto incidente, ha recuperato fisicamente e ora cerca un lavoro, aiutato da tutta la rete di Casa Ohana.

“Con Casa Ohana abbiamo gettato davvero tanti semi, chissà che nel futuro non nasca qualcosa di nuovo, o di più grande. Noi siamo fiduciosi”.

Giovanni Stinco