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La casa di Foresto è il mondo intero

“Io non ho viaggiato molto nella mia vita, ma abbiamo una grande fortuna. Non siamo noi ad andare in giro per il mondo, ma è il mondo a venire da noi”

Inizia così una chiacchierata telefonica con Suor Anna Maria, che da qualche mese sta vivendo una nuova, ennesima, avventura. Avevamo già raccontato del suo lavoro di assistenza ed accoglienza nel rifugio Shalom, oltre all’impegno a Oulx. Da maggio però, suor Anna Maria si è spostata, con Suor Edoardina, di qualche chilometro ed è andata in un piccolo paese nella Val di Susa. Foresto si chiama, e nome non poteva essere più adatto.

300 anime che hanno accolto le nostre amiche con amore e solidarietà, in un modo che ha sorpreso anche chi di quest’ultima parola ha fatto missione di vita.

“A maggio siamo arrivate a Foresto – ci ha raccontato Suor Anna Maria – . È un piccolo paese di 300 abitanti con un bellissimo campanile giallo. Nel 1952/53 era un paesotto ma poi, quando a Torino la Fiat si è ingrandita, in tanti sono andati lì. I bambini però in quel periodo erano rimasti per strada e allora in paese è stato creato un asilo”.

Proprio in quell’edificio, dove ogni anno c’erano anche 40 bambini, ora da maggio è presente il rifugio di Suor Anna Maria.

“In paese ci vogliono bene anche per questo. In molti si ricordano ancora di quando andavano all’asilo, oppure vengono i nipoti a vedere quelle vecchie fotografie e riconoscere i loro parenti. La gente di Foresto è ancora molto legata a quel luogo”.

Luogo che però è rimasto chiuso per almeno 30 anni e solo ora, grazie all’impegno quotidiano, è stato rimesso in sesto. “Abbiamo messo a posto la casa – ha continuato Suor Anna Maria -. Abbiamo pulito le grondaie, tagliato gli alberi, sistemato il prato ed ora abbiamo a disposizione 15 posti per accogliere chi ne ha bisogno. A Oulux c’è sempre gente che va e che viene, ma sono tutti di passaggio. Abbiamo sempre molte storie difficili, di persone che anche con ferite importanti decide di provare comunque ad andare in Francia. Il meteo per ora è ancora clemente quindi vogliono provarci prima che arrivi la neve”.

Il paese queste cose le ha notate, ha apprezzato gli sforzi e ha fatto subito sentire le nostre amiche accolte. “Ogni giorno viene qualcuno di Foresto a portarci qualcosa – ha continuato emozionata Suor Anna Maria -. Chi porta dei fagiolini, chi dei pomodori, sono tutti molto gentili e solidali anche con i migranti. Siamo diventate amiche di tutti e di tutte. Solo pochi giorni fa poi, è passato un gruppo di ragazzi che si è interessato alla rotta balcanica e ha deciso di toccare con mano la strada percorsa da chi ogni giorno cerca di raggiungere una vita migliore. È stato un incontro molto bello perché queste ragazze e questi ragazzi sono andati da Trieste fino alla Francia, e l’hanno fatto per riuscire a capire tutte le difficoltà di un viaggio così difficile.”.

Parlare con Suor Anna Maria è sempre estremamente interessante. Sarà per la sua voce vispa, sarà per la passione che ci mette in ogni sua azione ma le se parole sono sempre importanti e mai banali. Prima di concludere la chiacchierata ha voluto ribadire un concetto. “Siamo destinati a vivere assieme. Guarda io ho girato poco il mondo ma abbiamo il mondo che viene in casa. Approfittiamone. Quando queste persone arrivano da noi sono mute, ma man mano che passano i giorni si aprono, ci raccontano la strada fatta, ci parlano, si sbloccano e si lasciano andare raccontandoci tutto, dove sono passati o dove si sono nascosti, le loro paure e i loro sogni. Incontriamo persone che arrivano dall’Iran, dall’Afghanistan, dal Pakistan, ma anche dalla Siria, dall’Armenia e dal Nepal”.

La casa di Foresto è il mondo intero, e il piccolo paese sembra averlo capito.

Don Luigi Chiampo: “abbiamo avuto l’opportunità di avere un…

Noi di Famiglie Accoglienti la storia di Don Luigi Chiampo la conosciamo bene. Già qualche tempo fa in un numero della nostra newsletter avevamo raccontato come il parroco di Bussoleno si spenda quotidianamente per accogliere persone nel suo rifugio di Oulux. Abbiamo voluto ricontattarlo per farci raccontare com’è la situazione attuale.

A distanza di un anno abbiamo voluto chiedere a Don Luigi Chiampo degli aggiornamenti sul loro rifugio a Ulzio. Lì dal 2017 ogni giorno arrivano migranti che poi tentano di valicare le Alpi. L’Italia infatti spesso è solo un canale di passaggio per poi andare in Francia e Germania. Se per noi cittadini europei passare dall’Italia ad uno di questi due Paesi è oramai tanto scontato quanto facile, dobbiamo essere consapevoli che non per tutti è così. Noi possiamo prendere la nostra auto, varcare il confine senza che nessuno ci dica nulla, per molte altre persone invece quel confine è un luogo fatto di fatica e pericolosità, respingimenti e disumanità. Chi cerca di andare in Francia lo fa perché per lui o lei significa arrivare lì, dove hanno reti familiari e amicali, con la speranza di crearsi una nuova vita. È per questo che i migranti affrontano questi lunghi e pericolosi viaggi. Don Chiampo a Ulzio accoglie le persone che dalla rotta africana o balcanica stanno per tentare l’attraversamento o che l’hanno appena provato e sono stati respinti dalla polizia.

Spesso queste persone quando raggiungono il rifugio sono in condizioni di disorientamento e di estrema stanchezza. Da Don Chiampo possono trovare un riparo dal freddo, assistenza sanitaria e un pasto caldo. Insomma quello che serve per poi il ritentare il valico. L’idea di questo rifugio nasce certamente per un’esigenza emergenziale, ma anche per una precisa concezione politica. La dimensione politica di chi non accetta le frontiere, i muri e i respingimenti. 

Durante l’intervista realizzata da Riccardo Capodicasa, Don Chiampo ci ha presentato brevemente la situazione di oggi.

“Mediamente qui passano 50-60 persone al giorno e arrivano quasi tutti dalla rotta balcanica, qualcuno da quella africana. Adesso il numero maggiore è quello della rotta balcanica e quindi significa che è maggiore anche il numero delle famiglie. Ci sono però anche molti singoli, ma questo dipende molto dalle giornate, dai respingimenti e da quanti riescono effettivamente poi a passare in Francia.”

“L’emergenza è costante – continua Don Chiampo -, nel senso che i flussi non li puoi stabilizzare. Ci sono stati momenti in cui i flussi sono diminuiti molto, magari per il freddo o per le varie restrizioni per il Green Pass, hanno ristretto molto i numeri. Adesso però si sono allargati nuovamente i numeri, i flussi sono di nuovo aumentati, insomma dipende da tante condizioni”

Un’emergenza quindi che rimane costante e che non si placa. La percezione di emergenza sui migranti e sulla rotta balcanica si è affievolita a causa dell’attuale Guerra in Ucraina, ma la realtà di Ulzio ci dimostra che nulla è cambiato. I flussi continuano a ingrossarsi anche per le situazioni sempre più critiche in Iraq e Iran. 

Il rifugio però lavora quotidianamente per dare accoglienza e Don Chiampo ci spiega di alcune migliorie che sono state fatte in quest’ultimo anno: “abbiamo avuto l’opportunità di avere un rifugio più ampio e ad oggi arriviamo a 70-80 posti, quindi sicuramente rispetto al rifugio di prima abbiamo quasi raddoppiato i numeri di accoglienza e abbiamo anche organizzato meglio l’accoglienza. Prima avevamo container e cameroni, adesso abbiamo stanze da quattro letti, quindi anche per le famiglie è una situazione molto più dignitosa. L’accoglienza è molto più organizzata perché noi cerchiamo di dare risposta ai bisogni più immediati, dal mangiare alla parte medica. Quest’ultimo aspetto è molto importante perché alcuni arrivano con delle particolari situazioni mediche sanitarie e hanno bisogno di sostegno. Da noi questo sostegno lo trovano e vengono un po’ rimessi a posto, dai piedi alle condizioni fisiche. Lo stare nel  rifugio e avere la possibilità di essere seguiti in modo sanitario permette poi di ripartire con delle condizioni più appropriate perché a volte arrivano che sono veramente esausti.“

Yvan Sagnet e l’Associazione NoCap

La storia di Yvan Sagnet è la storia di un ragazzo forzatamente nomade ma altrettanto attento all comunità in cui vive. Nato in Camerun ha vissuto in diverse città e, dal 2007, è giunto in Italia. Nel nostro Paese ha studiato, si è laureato in ingegneria delle telecomunicazioni al Politecnico di Torino ed ha fondato un’associazione l’Associazione NoCap con la quale combatte quotidianamente il caporalato nel settore agroalimentare. L’idea e la voglia di impegnarsi su questi temi gli è venuta dopo un periodo estivo a Nardò, in Puglia. Era il 2011 e lui lavorò alla Masseria Boncuri come raccoglitore di pomodori. È stato proprio lì che scoprì cosa significa lo sfruttamento lavorativo. “Con il passaparola seppi che in Puglia cercavano personale per la raccolta dei pomodori – ha dichiarato qualche tempo fa in un’intervista -. Non sapevo neppure dove fosse la Puglia, ma io avevo bisogno di soldi. Decisi di andare da nord verso sud e di fare questa avventura”.

Un’avventura che però lo catapultò in una baraccopoli, a dormire per terra. Lo stesso Yvan ha dichiarato: “scoprii un mondo assurdo. Nemmeno nella mia Africa avevo mai visto una situazione del genere. I miei compagni mi spiegarono che il sistema per lavorare si chiamava “caporalato”. Furono chiari: se vuoi lavorare arriverà il caporale e tu devi andare da lui a chiedere per favore di lavorare”. Caporalato? Per me era un termine sconosciuto, una pratica di cui non avevo mai sentito parlare”.

La sua storia Yvan, l’ha raccontata in un toccante TEDx a Cremona che potete vedere integralmente nel video qui sotto.

In questa newsletter però vogliamo parlare della storia di Yvan per raccontare anche che cos’è e che cosa fa l’Associazione NoCap. La realtà creata da Sagnet è una storia fatta di connessioni, culturali, professionali ed umane. Connessioni che quotidianamente cercano di dare dignità ai lavoratori e cercare di cambiare un sistema dove, come dice lo stesso Yvan, “i caporali sono solo una parte del problema”. L’idea quindi è quella di attuare un cambiamento alla radice, che cerchi di cambiare radicalmente lo sguardo. Tra le attività di cui si occupa NO CAP infatti, rientra anche quella finalizzata al rilascio del bollino No Cap per attestare l’adozione, da parte delle imprese, di scelte etiche sul piano del lavoro e della sostenibilità ambientale lungo tutta la filiera agricola dei prodotti.

In un’intervista a Il Post Yvan Sagnet ha spiegato bene cosa significa questo lavoro. “«Il primo progetto pilota è partito nel 2019 quando un gruppo di distribuzione che ha sede in Puglia mi ha chiamato dicendomi: “ho letto di te e vorremmo avere nei nostri supermercati dei prodotti etici, facciamo un percorso insieme?” Ho accettato, ma ho posto delle condizioni. Gli ho detto chiaramente che la grande distribuzione organizzata è una parte grande del problema. Quindi gli ho chiesto di cambiare a cominciare dal primo punto fondamentale: il prezzo».

Sagnet chiede al distributore di lasciare che il prezzo sia deciso dai produttori. Normalmente è il distributore che fa il prezzo, cioè il soggetto che non sa quanto costano veramente la coltivazione, la raccolta e il trasporto di quel prodotto.

«Non è stato semplice trovare una quadra su questo punto, ma alla fine ha detto: va bene! Mi ha fatto l’elenco dei dodici prodotti che voleva e io sono andato dai produttori per dare una risposta alle esigenze di vendita. Insieme abbiamo ricostruito il prezzo del prodotto dal seme, all’acqua, all’energia, per arrivare al prezzo giusto. Sono tornato dal distributore e gli ho comunicato quale era il prezzo al di sotto del quale non si poteva andare. La risposta è stata: vediamo come va. Sono tornato di nuovo dai produttori per dire che l’accordo era fatto e che si poteva procedere con i contratti di fornitura. Noi abbiamo fatto dei controlli su tutti i loro lavoratori, siamo andati a spulciare le buste paga…»

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L’ultima battaglia vinta dall’Associazione NoCap è proprio di pochi giorni fa. È stato lanciato un appello per dare un alloggio ai lavoratori di San Ferdinando a Rosarno, a cui la gente del territorio ha risposto, mettendo a disposizione dei braccianti alcune case. La notizia è stata data direttamente dall’asscoazione tramite i suoi canali social, in cui si vedono chiaramente le abitazioni messe a disposizione dei lavoratori. 

Una rivoluzione che in pochi anni ha cambiato la vita a molte persone. Sempre Yvan infatti ha dichiarato: “Siamo partiti che avevamo 50 lavoratori sottratti allo schiavismo e ora ne abbiamo liberati quasi 700. Io penso che NO CAP sarà una forza a livello internazionale. Penso che ci verranno a cercare tutti per avere il cibo NO CAP. Quando scopriranno il lavoro che facciamo, quando capiranno fino in fondo il valore del cibo NO CAP. Perché è così: noi non vendiamo del cibo, noi cerchiamo di fare la grande distribuzione dei valori”. 

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