“Rotta balcanica: nel 2020 record di respingimenti dall’Italia verso…
Duccio Facchini su Altreconomia racconta di come la polizia di frontiera di Trieste e Gorizia abbia “riammesso” 1.240 migranti e richiedenti asilo tra gennaio e metà novembre (il 420% in più rispetto al 2019). Di seguito uno stralcio dell’articolo che potete leggere interamente su Altreconomia
“Mentre in Bosnia ed Erzegovina precipita la condizione di migliaia di persone migranti lungo la “rotta balcanica” -abbandonate al freddo, senza cibo e acqua, in particolare dopo la chiusura del campo di Lipa-, emergono le responsabilità in capo all’Italia per i respingimenti condotti al confine sloveno con sempre maggior intensità dalla primavera di quest’anno.
Tra il primo gennaio e il 15 novembre 2020 il nostro Paese ha infatti “riammesso” in Slovenia 1.240 persone, a loro volta respinte a catena fin verso il territorio bosniaco. Si tratta di numeri impressionanti, specie se confrontati con quanto accaduto nello stesso periodo del 2019, quando furono “solo” 237 (significa più 423%). I dati aggiornati sono stati trasmessi il 28 dicembre 2020 ad Altreconomia dal ministero dell’Interno dopo un accesso civico generalizzato e riguardano come detto le “riammissioni attive” effettuate dalla polizia di frontiera a Trieste e a Gorizia a danno dei migranti e richiedenti asilo”.
La foto è di Michele Lapini – Valerio Muscella
La via della vergogna. Sulla rotta balcanica delle migrazioni…
Nello Scavo su Avvenire ha raccontato il viaggio disperato lungo la rotta dei Balcani, tra violenze e torture inaudite da parte della polizia Centinaia di profughi con diritto alla protezione respinti dall’Italia.
Riportiamo di seguito uno stralcio dell’articolo che potete leggere interamente su Avvenire. Le immagini sono molto forti quindi si prega di prestare attenzione.
“È la schiena curva e livida dei respinti a dire le sprangate. Sono le gambe sanguinanti a raccontare la disperata corsa giù dal valico. A piedi nudi, con le caviglie spezzate dalle bastonate e i cani dell’esercito croato che azzannano gli ultimi della fila. È l’umiliato silenzio di alcuni ragazzi visitati dai medici volontari nel campo bosniaco di Bihac per le cure e il referto: stuprati e seviziati dalla polizia con dei rami raccolti nella boscaglia. I meno sfortunati se la sono cavata con il marchio di una spranga incandescente, a perenne memoria dell’ingresso indesiderato nell’Unione Europea.
Gli orrori avvengono alla luce del sole. Affinché gli altri, i recidivi degli attraversamenti e quelli che dalle retrovie attendono notizie, battano in ritirata. Velika Kladuša e il valico della paura. Di qua è Croazia, Europa. Di la è Bosnia, fuori dalla cortina Ue. Di qua si proclamano i diritti, ma si usa il bastone. Oramai tra i profughi della rotta balcanica lo sanno tutti che con gli agenti sloveni e gli sbirri croati non si scherza.
«Siamo stati consegnati dalla polizia slovena alla polizia croata. Siamo stati picchiati, bastonati, ci hanno tolto le scarpe, preso i soldi e i telefoni. Poi ci hanno spinto fino al confine con la Bosnia, a piedi scalzi. Tanti piangevano per il dolore e per essere stati respinti». Sono le parole di chi aveva finalmente visto i cartelli stradali in italiano, ma è stato rimandato indietro, lungo una filiera del respingimento come non se ne vedeva dalla guerra nella ex Jugoslavia. Certi metodi non sembrano poi cambiati di molto.