Diritti scontati, ma non per tutti

Sono nata nel 1990 nel Sud della Germania Occidentale, poco dopo la caduta del muro a Berlino, da un padre rumeno e una mamma tedesca. Da bambina ho vissuto la trasformazione da un’Europa con confini a un’Europa senza confini. Come giovane cittadina europea ho approfittato al massimo del mio diritto alla libera circolazione sul mio continente: ho vissuto, studiato e lavorato in diversi paesi, il che mi ha offerto molte opportunità a livello professionale e personale. 

Poi, un giorno, ho capito che i confini in Europa che per me non esistevano più, in realtà esistono ancora per moltissime persone. E che oggi non viviamo in un Europa “senza” confini, ma viviamo in un Europa fatta di confini invisibili per i cittadini europei,ma molto visibili per gli altri. Questi altri sono tutte le persone di paesi extraeuropei chi vengono qui con un visto – per esempio per studiare o lavorare – ma soprattutto per chi viene senza visto per cercare rifugio o protezione. 

Con questa serie di articoli, voglio portarvi in viaggio con me per scoprire insieme il diritto alla libera circolazione in Europa: quando fu creato? Come viene regolato, da chi e perché? Chi (non) ha diritto di libera circolazione in Europa e qual è l impatto sulla nostra vita? E perché è importante saperlo? 

In questo viaggio ci accompagneranno tre persone: 

Amira, 24 anni, di nazionalità siriana che vive attualmente a Ferrara. 

Rubert, 58 anni, sindaco di un piccolo paese nella parte occidentale della Germania.

Clara, 42 anni, che da due anni è deputata al Parlamento Europeo a Bruxelles per il partito tedesco i Verdi (die Grünen). 

Prima della partenza, però, vi voglio invitare a preparare la vostra valigia facendo due riflessioni: 

1. Cosa significa “diritto di libera circolazione” per voi?
2. Pensi di avere pieno diritto alla libera circolazione (in generale, non solo in Europa)?

Allora, partiamo dall’inizio. Perché esiste il diritto alla libera circolazione in Europa? A cosa e a chi serve e perché fu creato? 

Magari per voi è una banalità: parti in vacanza per Barcellona, vai a lavorare in Germania perché ci sono più opportunità o studi in Francia perché era il tuo sogno da sempre di vivere a Parigi. Ogni tanto ci dimentichiamo che l’Europa in cui viviamo oggi non è stata sempre cosi. 

Amira è arrivata in Europa nel 2017 a 17 anni, dopo un viaggio durato otto mesi. E’ arrivata senza visto in un barcone, a Lampedusa. Non aveva aspettative, era solamente felice di essere arrivata in Europa e sapeva che la aspettava una zia ad Amburgo. Sognava di raggiungerla per vivere lì. Dopo essere stata trasferita a Ferrara in un centro di accoglienza, nel 2018, Amira prese la decisione di andare da sua zia, in Germania anche se era ancora una “richiedente asilo” e non era in possesso di un titolo di viaggio. Partì lo stesso. 

Una volta arrivata a Monaco di Baviera, peró, fu controllata dalla polizia: non era autorizzata a continuare il viaggio verso Amburgo e fu registrata a Monaco di Baviera. Dopo mesi in un centro di accoglienza per donne a Monaco, aspettando la decisione sulla sua seconda richiesta di asilo, fu dublinata e renviata in Italia. Le autorità la lasciarono al aeroporto di Milano, senza supporto di qualsiasi tipo. Amira tornò a Ferrara, dove però la fu negato l acoglienza nel centro dove abitava prima – perché era scappata senza avviso. Stanca di tutto questo limbo legale e burocratico, Amira si rivolgò ad una associazione locale che la aiutò a trovare un alloggio e ripartire con la sua vita. Due anni dopo, Amira ottiene lo status di rifugiato in Italia – ma può finalmente andare a vivere in Germania con sua zia? 

Solo dopo l’accaduto, Amira viene a sapere che lei sostanzialmente non aveva il diritto di spostarsi da un paese europeo all’altro. Cos’era successo? 

Con la creazione dell Area Schengen, nel 1985, e il Trattato di Maastricht, nel 1992, fu introdotto il diritto alla libera circolazione per i cittadini europei. Uno spazio comune che permetteva ai suoi cittadini di circolare, vivere e lavorare liberamente ovunque desiderassero. Questo creava però il bisogno di un sistema di controllo dello spazio comune, soprattutto nei confronti dei cittadini non europei, i cittadini di paesi terzi, quelli che chiamiamo “immigrati”. Perciò, nel 1997, con il Trattato di Amsterdam, i paesi europei lanciarono una politica migratoria comune, con l’obiettivo di assicurare la “libertà, giustizia e sicurezza al interno dello spazio comune”. Nel 1999, con il Trattato di Tampere, questo fu esteso alle persone che cercano protezione internazionale nello spazio Schengen, ovvero ai richiedenti asilo, e fu la nascità del Sistema europeo comune di asilo, conosciuto come il Common European Asylum System (di seguito: CEAS). 

Mentre era, però, relativamente facile controllare chi veniva con un visto Schengen per motivi di lavoro, studio o famiglia, era più difficile controllare chi arrivava senza visto, ovvero “in modo irregolare”, nello spazio comune, il che erano spesso il caso delle persone che cercavano rifugio o protezione – i richiedenti asilo. Bisognava allora un sistema per controllare e gestire anche questo flusso di persone e cosi fu introdotto nel 2000 Eurodac, “una banca dati dell’UE che conserva le impronte digitali dei richiedenti protezione internazionale o delle persone che hanno attraversato illegalmente un confine”. Seguito poco dopo, nel 2003, dal Regolamento Dublino (Trattato di Lisbona). 

Nel 2004 e 2005 fu deciso che tutti paesi parte dell UE devono assicurare ed incorporare il diritto al asilo politico, ovvero lo status di rifugiato (Convenzione di Genevra, 1951, status di rifugiato) come anche la protezione sussidiaria (Protocollo di New York sullo Status di Rifugiato del 1967). Vuol dire che tutte le persone che arrivano in qualsiasi paese UE per chiedere protezione internazionale, devono essere trattati e accolti in modo uguale. 

Ma facciamo un passo indietro: il famoso Regolamente Dublino, cosa prevede esattamente? Perché Amira fu, come dicevamo dublinata

Il Regolamente di Dublino decide quale stato membro è risponsabile per la gestione di una richiesta di asilo. Attenzione, la Convenzione di Dublino fu firmata giá nel 1990, in Irlanda, e l’idea di base era di rendere l’accesso all’asilo più veloce ed evitare le doppie richieste di asilo . Fu solamente nel 2003, quando furono stabiliti “i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo”. 

Ci sono sette criteri che determinano quale stato membro è risponsabile per gestire una richiesta di asilo. Visto lo sviluppo dei flussi migratori negli ultimi 20 anni, ovvero l’arrivo delle persone principalmente tramite i paesi confinanti con la UE oppure attraverso il Mediterraneo e la rotta balcanica, è diventato più importante (e riconosciuto) il criterio seguente:  “Se un cittadino di un paese terzo entra nel territorio di uno Stato membro in cui è dispensato dal visto, l’esame della domanda di asilo compete in questo caso a tale Stato membro”. È per questo che l’Italia è responsabile per la richiesta di Amira, perché lei è arrivata in un barcone senza visto sul territorio italiano (a Lampedusa). 

In realtà, questo criterio dell’ingresso “irregolare” non sarebbe il primo criterio che determina la risponsabilità di uno stato nella gerarchia del regolamento di Dublino: ci sono ben altri criteri da analizzare prima, come per esempio se la persona è minorenne e ha il diritto di raggiungere un familiare maggiorenne in un altro stato membro; o se ci sono membri della famiglia che già sono beneficiari di una protezione internazionale in un altro stato membro; o se la persona è stata già prima in un stato europeo dove aveva un visto o documento (anche scaduto). Benché la gerarchia legale di questi criteri debba in teoria essere rispettata, nella prassi spesso viene saltata. 

Nel caso di Amira, lo stato italiano avrebbe dovuto rispettare innanzittutto il suo diritto di minorenne di raggiungere la zia in Germania. Purtroppo, oggi come oggi, il CEAS ha reso la situazione ingestibile per molti paesi europei, ma soprattutto per i paesi limitrofi: le procedure sono diventate lunghe anni, e prima che il caso di una persona venga esaminato certi diritti sono già scaduti. Amira non sapeva nemmeno del suo diritto di poter essere trasferita direttamente dalla zia ad Amburgo. In più, mentre a livello legislativo un regolamento deve essere applicato da tutti gli stati membri, purtroppo il CEAS è composto da direttive, il che vuol dire che gli stati membri possono orientarsi con queste direttive, ma non sono obbligati ad applicarle in modo uguale: prevale la loro legge nazionale. Di conseguenza, ogni stato europeo gestisce in modo molto diverso l’accoglienza dei richiedenti di asilo. Per esempio, ci sono stati che offrono una protezione complementare (come l’Italia casi speciali) mentre la durata dello status può variare da uno stato all’altro. 

Torniamo da Amira. Perché non poteva andare dopo da sua zia? 

Perché la legge europea prevede che una persona richiedente asilo in uno stato membro deve restare lì finché la sua richiesta non sia conclusa, ovvero finché non ottiene un permesso di soggiorno valido o una risposta negativa. Ma anche dopo di aver ricevuto un permesso di soggiorno valido, non tutte le persone possono viaggiare: devono anche avere un titolo di viaggio. Le persone con un permesso di soggiorno per motivi di asilo politico hanno diritto al passaporto per rifugiati, ma questo non viene dato in automatico alle persone che ricevono la protezione sussidiairia o altre protezioni complementari. 

Amira, che ora ha un permesso di soggiorno per motivi di asilo politico e ha pure ricevuto il passaporto di rifugiato, perché non si trasferisce finalmente in Germania e va a studiare o lavorare lì? 

Qui si applica la regola Schengen, che consente ad Amira di andare in Germania per motivi turistici per un massimo di 90 giorni ogni 6 mesi – quindi per passare le vacanze dalla sua zia. Ma non le dà il diritto di lavorare o studiare in un altro paese europeo. Questo diritto viene concesso soltanto una volta che Amira abbia ottenuto un permesso di lungo periodo o la nazionalità di uno dei paesi europei.

Per Amira, l’Europa sembra una giungla con troppe regole opache e barriere burocratiche. Amira a volte è frustrata e stanca. Era il suo sogno raggiungere sua zia. Ormai si è arresa anche se in Italia non trova affatto le stesse opportunità lavorative che troverebbe in Germania. E ora ha sentito parlare di una riforma del CEAS che introdurrebbe nuove regole ancora più opache e restrittive. Amira pensava che un giorno sarebbe arrivata ad avere una vita stabile, ma sembra che il suo viaggio debba continuare ancora. Cosa succederà prossimamente? 

Ne parleremo nella prossima edizione della newsletter….

Karla Kästner