Il Rifugio “Foyer Shalom”

A Susa esiste un centro di assistenza gestito con cura e amore da due suore iscritte alla nostra associazione. Si chiama Rifugio “Foyer Shalom” che letteralmente significa “rifugio di pace”. È nato nel giugno 2017 ed a raccontarci la storia è proprio suor Anna Maria Venturin.

L’inizio

“Quando siamo tornate da Ginevra, dove abbiamo lavorato per 45 anni – ci ha raccontato Anna Maria – abbiamo deciso di aprire questo rifugio. Siamo state incaricate proprio dagli italiani a Ginevra di tornare in Italia ed occuparci qui di migranti. Anche noi per più di 40 anni siamo state immigrate e quindi tornate nel nostro Paese d’origine abbiamo occupato un piano della casa di Susa dove ci sono quattro alloggi. In uno viviamo noi mentre gli altri tre sono destinati a famiglie. Abbiamo cominciato per puro caso: il 28 giugno 2017 c’erano delle famiglie con bambini piccoli che erano ospitate a Settimo Torinese dalla Croce Rossa. Stavano sotto le tende con un caldo atroce e proprio la Croce Rossa ci ha chiamate per chiederci se avevamo la disponibilità di prendere queste persone”.

Le storie di accoglienza

Un inizio quasi casuale ma una missione che negli anni ha visto passare da quella piccola casa a Susa persone provenienti da gran parte delle rotte più conosciute e difficili. Chi ha affrontato il mare e la guardia libica, chi è arrivato al “rifugio di pace” con ancora addosso i segni delle violenze della polizia croata e chi una volta uscito dal rifugio ha fatto perdere le traccie.

La quotidianità al Rifugio

“Negli ultimi 15 giorni sono stata sola – ha continuato suor Anna Maria – e ho avuto una famiglia iraniana, in cui tutti hanno ottenuto asilo politico. Marito e moglie iraniani poi hanno conosciuto, probabilmente in viaggio visto che i viaggi durano anche 3-4 anni, una famiglia afghana con due figli e un nipote. La mamma appena arrivata è stata  ricoverata subito in ospedale per pressione alta, c’era il rischio che facesse un ictus. Noi siamo stati tutta la notte e poi abbiamo deciso di portarla su da noi. Questa mamma con la figlia aveva due figli a Oulx, in fondo alla Val Susa. Appena l’hanno saputo sono voluti venire anche loro. Tutti loro sono passati dalla Croazia e avevano le gambe piene di lividi. Uno dei ragazzi aveva addirittura un mignolo rotto e sono arrivati in ciabatte. Il viaggio di solito dura 3-4 anni, questi sono passati dalla Grecia, Albania, Montenegro. Ora loro sono andati poi a Briançon.

Poi abbiamo avuto un’altra famiglia con un bambino, provenivano dall’Afghanistan. La mamma, da quello che abbiamo capito, è stata in ospedale in Bulgaria, ricoverata per problemi deambulatori. Dopo la dimissione si sono messi a camminare e non ha pensato a prendere la cura ed è arrivata con i piedi grossissimi. Questa mamma ora inizia a stare meglio e partirà appena potrà fare i 18 km per il Monginevro. Vogliono andare in Germania dove hanno contatti. Tutti hanno intenzione d’andare in Germania, Svezia o Inghilterra.

La storia della ragazza algerina

Da ultimo è arrivata una ragazza algerina fermata alla dogana. Era su un flixbus e aveva un biglietto per Barcellona. La sua è una storia emblematica. Veniva da Padova ma non aveva fatto il tampone, per questo l’hanno bloccata e portata a Ulzio. È rimasta al Rifugio “Foyer Shalom” abbastanza perché era una ragazza strana, che parlava francese e quindi potevamo anche parlare bene tra di noi. Mi ha spiegato che in Spagna inizialmente si dedicava all’agricoltura ma lei aveva fatto l’università e cercava un altro lavoro. Sempre in Spagna aveva trovato qualcuno che le aveva proposto un lavoro migliore in Italia. Quando lei è arrivata a Padova però, questa persona è sparita. Lei non sapendo dove andare è arrivata da noi. Era spaventasissima e diceva “vendere il mio corpo no”, “vendere il mio corpo no”. Poi sembrava essere arrivata la soluzione, lei non sapeva decidere e le ho proposto di andare con un grosso gruppo verso Briançon. Sembrava andare tutto bene quando in treno è arrivata una persona che le ha proposto di andare a Torino e lei è andata con lui. Non sappiamo più nulla e si può solo immaginare cosa sia successo.

Ora mi hanno proposto di ospitare una somala. Di solito è il responsabile del rifugio di Ulzio che ci contatta, ma ora lo fa direttamente anche la Croce Rossa”.

La testimonianza di questi quattro anni di lavoro di suor Anna Maria è fondamentale. Quotidianamente si trova ad affrontare situazioni complicate, sia umanamente che dal punto di vita sanitario. “Tempo fa è arrivato un ragazzo con pezzi di ferro dentro le gambe – ha continuato suor Anna Maria -. Un’altra coppia papà mamma e due bambini sono arrivati punti dalle zecche, completamente pieni. Noi li curiamo e li seguiamo fino a Briançon, perché lì abbiamo contatti ma  dopo alcuni telefonano, ma di altri perdiamo il contatto”.

Il messaggio

“Oggi però – ha concluso suor Anna Maria sorridendo – ho ricevuto un messaggio da uno scapestrato che ne ha fatte di tutti i colori. È partito da solo a 12 anni, si è imbarcato dalla Libia, è affondato, si sono salvati in quattro tra cui lui. La Guardia costiera libica li ha pescati, ma poi è ripartito, è arrivato in Sicilia, è stato preda della malavita, si è drogato, ha fatto delle cose talmente grosse che è andato in prigione a Torino per un anno e mezzo. Poi è uscito, è andato in una comunità, prima dei 21 anni è arrivato da noi. Lui andava a scuola dove studiava molto bene, faceva anche lezioni private. Un giorno però mi telefonano da scuola perché hanno portato il ragazzo all’ospedale perché stava male. In ospedale a Susa gli han dato la tachipirina e lui a casa da noi si è mangiato tutta la scatola. Abbiamo preso molta paura ma poi stava bene e a 21 anni è andato via. Ho saputo solo dopo un po’ di tempo che aveva trovato lavoro. Oggi però dal nulla è arrivato un messaggio da lui con tutti i cuoricini che mi ha fatto sorridere”