Ismail con Rita e Lucio a San Lazzaro di Savena

Ismail è arrivato a casa la prima volta in estate. L’incontro è avvenuto dopo un percorso di formazione a cura del progetto Vesta. Lucio ed io eravamo curiosi e anche un po’ansiosi. E se Ismail non ci piaceva? E’ andato tutto bene, anche l’incontro con Ika, il nostro cane.

Ismail è stato con noi nove mesi come prevedeva il progetto.

Un’esperienza importante che mi ha insegnato molto e che per questo penso sia giusto ripercorrere e condividere.

Ismail è nato in Benin nella città di Natitingou ed è arrivato in Italia, dice lui, per sbaglio.

Rimasto solo, in Benin non voleva più stare. Suo padre era morto in un incidente stradale, la madre lo aveva abbandonato senza spiegazioni. Partì dunque con un cugino per giungere in Libia dove sapeva che avrebbe trovato lavoro.

Ricorda che un giorno bombardarono la città. Vide un amico morire. Lui voleva vivere e decise di fuggire il più lontano possibile. Si ritrovò su un barcone in mezzo al Mediterraneo. Non aveva soldi ma l’avevano fatto salire lo stesso.

A casa nostra stava nella stanza di Federica, fuori casa da tanto tempo. La cosa buffa è stato scoprire che non conosceva l’uso di dormire dentro le lenzuola. Ricordo che gli ho mostrato come ci si infila a letto ma niente da fare. Dormire per lui era dormire sopra le lenzuola.

Abitiamo in campagna e facevamo lunghe passeggiate con Ika. All’imbrunire si possono incontrare cerbiatti e cinghiali e Ismail mi chiese se ci fossero anche i leoni.

Imparare a conoscersi non è stato facile. Accordarsi sugli orari quasi impossibile. Ma dove sei? Sono già le nove. Abbiamo fame. E lui: sono qui, sto arrivando. Il suo qui non aveva un significato né temporale né spaziale. La puntualità la contemplava solo per gli allenamenti di calcio.

Accettarsi voleva dire e vuole dire ancora: accettiamo la diversa concezione del tempo, la tua e la mia. Non ci perderemo dicevano i suoi occhi quando volgevano lo sguardo ben oltre la cerchia della nostra famiglia. Ecco, con Ismail ho imparato a non avere aspettative, quelle aspettative che solitamente si hanno nei confronti dei figli.

La relazione che nel tempo si è instaurata è una relazione alla pari. Io persona adulta nata sulle Alpi, lui un giovane uomo africano. C’è stato il tempo anche delle confidenze. Confidenze leggere: la radio che ascoltava il padre, l’acqua in casa e le famiglie del villaggio meno fortunate che se ne servivano. La scuola coranica e la scuola francese. Una sola volta sono scivolata nel ruolo di madre, lui aggrappato a me nella disperazione, nel vuoto, nell’assenza. Ho chiesto aiuto a un amico che mi ha ricordato di non confondere i ruoli. Di non darmi troppa importanza nella relazione con lui. Ismail e i ragazzi come lui hanno tante relazioni compensative: non hanno una mamma ma tante mamme, non hanno una zia ma tante zie, non hanno una nonna ma tante nonne. Anche questa acquisizione mi ha aiutato ad essere presente nella leggerezza.

Ho reimparato da Ismail la fiducia, quella cieca. Quando se ne è andato, allo scadere del progetto, ero felice e dispiaciuta nello stesso tempo. Felice della sua autonomia, dispiaciuta della distanza fisica che ci avrebbe diviso.

Ora ci vediamo ogni tanto ma siamo la sua famiglia, io la sua mama dice lui, Lucio il suo babo. (Rita Brugnara)